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Il Test di Turing e quello di Tononi

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Originariamente pubblicato su Youth United Press.

No, non mi interessa sviluppare un cervello elettronico potente. Mi accontento di uno mediocre, un po’ come quello del presidente dell’AT&T.

Alan Turing (1943; citato in Alan Turing - Una biografia di A. Hodges, 2006)

Un classico esempio di Test di Turing.

Era il 1950 quando Alan Mathison Turing (universalmente riconosciuto come uno dei padri dell’informatica moderna) decise di affrontare formalmente, giocando d’anticipo, un problema che si sarebbe poi rivelato fondamentale per la neonata disciplina dell’intelligenza artificiale: come decidere se una macchina sia cosciente oppure no? Per questo motivo elaborò un ipotetico test (oggi noto come Test di Turing, in suo onore) che nella sua formulazione più classica richiedeva che un computer riuscisse, attraverso una chat, a convincere con le proprie risposte di essere un uomo (o una donna) un osservatore esterno mentre lo stesso compito veniva svolto da una persona.

Ma quanto è affidabile questo test? In realtà il dibattito, dopo oltre sessant’anni, è ancora aperto e ben lungi dal ricevere una soluzione condivisa. Da una parte ci sono i sostenitori del TdT (per lo più informatici) i quali sono convinti che, se ben postulato, il test possa davvero rivelarsi in grado di discriminare una macchina cosciente da una macchina non-cosciente. Dall’altra parte, invece, c’è lo scetticismo dei filosofi della mente; un esempio classico è dato dalla posizione del filosofo americano John Searle che per confutare l’attendibilità del TdT propose un semplice esperimento mentale atto a sottolineare la differenza tra sintassi e semantica: immaginiamo che un americano si sieda all’interno di una stanza la cui unica ‘porta sul mondo’ sia una fessura dalla quale è possibile introdurre solamente fogli di carta (sia in uscita che in entrata). Immaginiamo ora che un osservatore esterno cinese scriva nella sua lingua una serie di domande alla macchina e che infili nella fessura il tutto scritto su un foglio. Possedendo una serie di avanzatissimi libri in grado di fornire una risposta adeguata ad ogni messaggio, sostiene Searle, l’uomo potrebbe tranquillamente rispondere in maniera pertinente alle domande fatte (così che se l’osservatore esterno ha scritto 你好嗎, “come stai”, il libro potrebbe consigliare di rispondere 我很好, “bene”), pur non essendo minimamente cosciente del significato delle parole che sta usando, né tanto meno di quelle a cui sta rispondendo: l’uomo manipola simboli di cui non è cosciente; esattamente come i moderni computer (maggiori informazioni sull’argomento della “Stanza Cinese” qui e qui).

D’altronde la lista di programmi che nel corso della storia si è ventata di aver espugnato il TdT è piuttosto lunga: ne è un ottimo esempio ELIZA, uno dei primi programmi in grado di simulare una vera conversazione; compito semplificato dal fatto che il programma doveva simulare una terapeuta rogeriana rispondendo quindi sempre in maniera piuttosto vaga (S: “Mia madre mi odia”, E: “Perché lo pensi?”); oppure il più moderno Cleverbot: programmato da Rollo Carpenter verso la fine degli anni novanta, Cleverbot è uno dei più sofisticati simulatori di conversazione (potete divertivi qui; oppure potete scaricarlo a pagamento dall’AppStore).

Ma in realtà tutti questi programmi non sono che pallide imitazioni di una vera coscienza ed un vero Test di Turing è ancora ben lontano dal poter essere risolto. D’altronde più che attaccarsi alle sue diverse formulazioni sarebbe più intelligente rimanere fedeli a quello che fu all’epoca l’originale intuizione di Alan: se discutendo con un computer non posso capire se quest’ultimo sia un computer o un essere umano, come potrei non riconoscere alla macchina una coscienza simile a quella che riconosco ius naturale ad ogni essere umano (sopratutto tenendo a mente che l’altrui coscienza è comunque sempre inferita e mai provabile direttamente)?

Un computer in grado di comprendere l’anomalia nell’immagine potrebbe dirsi cosciente a tutti gli effetti.

In ogni caso un test più affidabile di quello di Turing è stato postulato proprio proprio l’anno scorso dallo scienziato italiano (lo dico con una certa dose d’orgoglio) Giulio Tononi e rappresenta la naturale estensione della tua nota teoria sulla coscienza (di cui parleremo con maggiore dovizia di particolari in futuro) che parte dall’intuizione che qualsiasi sistema in grado di ‘creare’ coscienza debba essere in grado di gestire una enorme mole di informazioni e al tempo stesso di integrarle insieme (i moderni computer soddisfano il primo requisito ma non il secondo; sono infatti in grado di immagazzinare centinaia di migliaia di fotografie senza però essere in grado di metterle in relazione le une con le altre). Per questo motivo piuttosto che passare per il canale preferenziale del linguaggio il test di Tononi si basa sulla capacità di distinguere un’immagine ‘strana’ da una normale (vedi figura al lato). Questo richiederebbe la capacità, per ora esclusivo retaggio degli esseri viventi/biologici, di integrare diverse informazioni per arrivare così alla conclusione che l’immagine sia ‘sbagliata’.

Basterà questo nuovo test a convincere i più scettici tra i filosofi della mente? O hanno davvero ragione loro e tutti gli scienziati e gli ingegneri impegnati nel campo dell’intelligenza artificiale non sono che moderni icari destinati al fallimento? Essendo coinvolto in prima persona non posso che darvi quella che è la mia personale opinione: in 3000 anni di filosofia non c’è stato praticamente un solo filosofo che abbia dato una soluzione corretta ad un qualunque problema quantunque abbiano sempre posto dubbi più che pertinenti; per questo il mio consiglio, parafrasando il noto neuroscienziato Christof Koch, è di ascoltare sempre le loro domande ma di diffidare sempre dalle loro risposte.

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